Marco Bay, architetto milanese, laureato al politecnico di Milano, collabora dal 1993 al 1997 con lo studio di Nena Balsari dove sviluppa la propria esperienza professionale basata sulla passione per creare giardini e frammenti di paesaggio.
Marco Bay fonda il proprio studio nel 1997; in Italia e in Europa progetta e realizza aree pubbliche e private.
Giardini pensili; restauro di giardini storici; riqualificazione ambientale di spazi commerciali e industriali; studio del paesaggio per nuovi insediamenti urbani; campi sportivi; spazi museali all’aperto sono alcuni dei temi che coinvolgono lo studio nelle rispettive scale di intervento.

Ritratto by Filippo Avandero
Committente, spazio e creatività: qual è il Suo segreto per riuscire ad armonizzare questi tre ingredienti?
“Il progetto per un giardino nasce da un segno mirato alla conquista della spazialità, volto alla valorizzazione delle prospettive del luogo e dalle scansioni delle stagioni. La natura del posto determina le mie scelte, le ispirazioni possono essere infinite, dalle preesistenze naturali, all’architettura di una casa, dal clima, dall’esposizione, alla natura del terreno o da minimi dettagli che mi possono suggerire un mondo da esaltare.
Le idee progettuali sono poi mediate dai desiderata del committente, come un direttore d’orchestra si tratta poi di intessere i vari input che vanno armonizzati e monitorati per realizzare l’opera d’arte vivente che è ogni singolo giardino; la natura decide poi il suo corso e sarà in seguito lei a guidare l’architettura del giardino. La sfida è anche sempre quella di creare un insieme che sia di facile da manutenzione, cercando di limitare la necessità di intervento da parte dell’uomo.
Tutti i lavori sono grande sforzo creativo, mentale e fisico, ogni volta è come partire da zero, ogni volta mi metto in discussione, poi piano entro in contatto col luogo, in confidenza, è come imparare a conoscere una persona, non può essere un processo immediato, il tempo mi aiuta a superare le prime titubanze e mi permette di cominciare a dialogare con l’ambiente.”

Orto in Versilia, foto di Dario Fusaro
Tanti bellissimi giardini che prendono vita da un disegno e, una volta realizzati, evolvono autonomamente nel tempo, Le capita di seguire la trasformazione di spazi che ha progettato, li accompagna nella loro crescita?
“È come con i figli, io faccio del mio meglio per fornire le condizioni ottimali, ma poi il giardino deve vivere di vita propria, anche se mi emoziono rivedendoli e scoprendo come la natura ha fatto il suo gioco.
L’inverno, ad esempio, è momento magico per osservare, diminuiscono le distrazioni date dalla natura, il rapporto è più intimo, le suggestioni sono impagabili, gli alberi e le piante hanno un disegno diverso, non ci sono fioriture particolari, la natura, nel suo momento di riposo effimero, lascia emergere il disegno che il progettista ha ideato per quello spazio.”

Patio tropicale , milano, foto di Marco Bay
Possiamo ritrovare un Suo segno distintivo, un elemento di riconoscimento negli spazi che ha progettato?
“Un segno distintivo di riconoscimento, un “filo rosso” c’è, anche se probabilmente è inconscio.
Mi piace molto il contrasto dell’uso delle piante in forma in continuità con le piante naturali, non potate, ad esempio trovo straordinaria una siepe squadrata sullo sfondo di un bosco, o un parterre formale con piante di forma “a sfera” e fra di loro, un prato di fiori selvatici; mi piace sempre sperimentare l’abbinamento del segno dell’uomo agli aspetti selvatici della natura.
Cerco inoltre di avere il controllo della scena botanica con l’uso di poche piante ripetute, non un campionario che crei disordine.
La scena deve essere facile, ben organizzata, questo è un altro mio forte elemento distintivo, un secondo filo-rosso direi, anzi forse un filo arancione.
È importante tener presente che il giardino non è uno spazio utopico; osservo l’architettura, lo stile della casa, per dare una continuità ideale tra esterno e interno, dare forza a tutto l’insieme.
Elementi minerali e movimenti del terreno sono ingredienti importanti nella realizzazione e cambiano a seconda del luogo, la sensibilità sta nel giocare con elementi adatti a quello spazio, come se fossero sempre stati lì. Cercare di realizzare segni che si accompagnino alla natura del luogo, creando un senso di continuità che dia l’impressione di aver fatto emergere qualcosa di preesistente, tenendo al contempo presente l’importanza dell’effetto sorpresa ed estraniamento che ci deve accompagnare sempre entrando in un giardino.”
C’è un “mai” nei Suoi progetti?
“Sicuramente non pianterò mai un ulivo secolare, rifuggo le mode, sono rispettoso nei confronti della natura e su questo cerco di guidare il cliente, in un periodo in cui siamo sempre più distanti dalla natura, il mio compito è quello di avvicinarli, di accompagnare e far capire.”

Laveno - au me lac - foto di Sofia Meda
Un sogno nel cassetto?
“Una foresta, partendo da un terreno brullo, arido; in Israele gli studi per il recupero delle acque sono molto avanzati, sarebbe bello andare e studiare le loro tecnologie, capire come portare la foresta in una zona desertificata.”
In un mondo sempre più tecnologico, quali sono i Suoi strumenti progettuali: matita o computer?
“Rigorosamente a mano libera, il computer non riesce a trasmettere il senso della natura, la diversità, le “texture” e le sfumature dei suoi elementi.
Le piante vanno poi scelte nei vivai, non su una foto, o su un catalogo di un sito internet, bisogna vederle, ogni volta è l’occasione per imparare qualcosa di nuovo. Anche i viaggi all’estero sono una bellissima opportunità sia per vedere le realizzazioni di altri colleghi, che per visitare i vivai; il nord Europa, la Francia e l’Inghilterra sono paesi pilota per la grande attenzione agli spazi verdi.
L’Italia, con una tradizione di giardini storici che tutto il mondo ha imitato e ci invidia, non è più allineata, non c’è più lo stesso rispetto per gli spazi dedicati al verde.“

Giardino La Serenissima, via Turati Milano, foto di Marco Bay
“Non son sempre rose e fiori” vale anche nel Suo lavoro?
“Le sfide ci sono e non sono vincere sulla natura del luogo, ma piuttosto creare intesa con il committente e l’impresa che realizzerà l’opera, è molto importante sviluppare con loro una sintonia.”
Il giardino dell’Hangar Bicocca, uno Suo importante progetto milanese, ce lo racconta?
“Una grande sfida affascinante ed entusiasmante in un contesto molto duro, inquinato, privo di vegetazione, dove far dialogare il paesaggio industriale milanese di ciminiere e gasometri che mi ha sempre affascinato, quello dei quadri di Mario Sironi che per primo li ha ritratti, e delle foto di Gabriele Basilico, insieme a un’architettura monumentale.
In un luogo che anticamente era occupato da foreste, poi da campi agricoli e infine era divenuto un’area periferica industriale, dopo un’attenta bonifica, sono stati piantati quattromila carpini per creare una sorta di cintura verde, uno sfondo di protezione del giardino dallo spazio circostante che non offriva alcun elemento gradevole allo sguardo;è stato come far ritornare quel luogo alle proprie origini.
L’altra sfida è stata rapportarsi con la scultura monumentale di Fausto Melotti, grandissimo artista milanese.
Il giardino si gioca su due elementi, a cui ho già accennato precedentemente, il bosco, informale, spontaneo, in cui ho scelto di piantare carpini di quattro misure diverse per creare, fin dall’inizio, un aspetto più naturale possibile, anche se volutamente ho scelto piante di un’unica essenza, per dare al bosco un aspetto contemporaneo; dalla massa boschiva emergono poi, come delle eccellenze, esemplari di alberi di Sophora Japonica.
L’elemento formale invece è il parterre giocato, quasi fosse un tappeto, con delle graminacee che ci riportano al tema del giardino contemporaneo.
Volutamente senza fiori, per rispettare lo spazio circostante, i colori sono giocati dalle graminacee che prendono le sfumature del giallo e del bronzo, dalla scultura in acciaio Cor-Ten, dalla foglia dei carpini,che da autunno a primavera assume le tonalità bronzee;i colori, anche senza fioriture, dialogano con le stagioni e con l’architettura circostante.“


Giardino Hangar Bicocca, foto di Sofia Meda
Fra i progetti internazionali, quale il più innovativo?
“Mi è stato richiesto di ideare il progetto di un orto-frutteto urbano per una multinazionale del settore alimentare che, in un lotto di un’area cittadina abbandonata, ha pensato di realizzare uno spazio dedicato alla coltivazione di frutti e piccoli frutti, coinvolgendo gli abitanti del quartiere, dalla realizzazione del lotto, alla cura delle piante, fino alla trasformazione della frutta raccolta.”
Un lavoro che è anche una grande passione Le lascia il tempo per altri interessi?
“La fotografia, soprattutto legata al mondo del cinema, fotografo nel mio tempo libero, anche in questo caso con strumenti manuali, caricare il rullino, preparare la pellicola, il momento e il suono dello scatto, l’attesa dei provini per scoprire se l’immagine catturata sarà come l’avevo pensata e infine la magia di andare da un esperto stampatore per stamparle, assolutamente manualmente, sono sempre una grande emozione.
Mi piace moltissimo anche cucinare, inventare col cibo, quando il frigo è quasi vuoto poi è una sfida in più che mi rilassa. Oggi i cuochi sono le star del momento, sarebbe bello che i giardinieri diventassero le nuove star per una rinascita del mondo dei giardini e della cultura del verde, una scuola per la formazione dei giardinieri potrebbe essere un altro entusiasmante progetto da realizzare.“
