Métiers d’Art di Chanel: il saper fare rappresenta un rapporto attivo con la materia. Si oppone alla cultura della serializzazione e diventa attitudine politica e pratica. Sempre del tutto contemporanea.
Verso la fine degli anni ottanta, in un saggio dedicato “Memphis”, noto anche come Memphis Milano, un collettivo creato da Ettore Sottsass che traeva spunti dal design passato e presente con dei tratti distintivi come i colori vivaci e le forme geometriche, l’autorevole giornalista di design Tersilla Giacobone aveva descritto questo fenomeno sperimentale come “un plotone di esecuzione contro la cultura del passato” rappresentata, tra l’altro, dall’ideale dei vestiti di qualità che durano in eterno.
La moda, espressione del cambiamento sociale e culturale, era uno dei segni principali contro il passato; il rapido ricambio degli stili, era la nuova frontiera della cultura del desiderio e dell’abbondanza. Ciò che ha accaduto è storia ampiamente raccontata attraverso le pagine di Vogue curate da Franca Sozzani, una delle importanti teoriche di questo cambiamento, “era stato aperto il vaso di Pandora”.
La diffusione della moda e la rapida successione degli stili fanno parte della contemporaneità, con una spinta centrifuga legata alla straripante produttività della fast fashion.
La spinta a rifuggire dall’accelerazione e dalla standardizzazione, che non riguarda solo la produzione di merci ma anche il lavoro intellettuale, sta alla base del Métiers d’Art di Chanel, voluta dal direttore creativo Karl Lagerfeld nel 2002, che celebra, ogni mese di dicembre, le creatività e le artigianalità su cui si basa il DNA del brand.
Una scelta unica nel suo genere da parte della maison, quella di rivolgere una particolare attenzione al patrimonio artistico e tecnico della cultura francese e nel riportare l’attenzione sui vestiti, sulla materia e la maestria con cui sono fatti, sulla qualità e la bellezza che li rendono resistenti all’usura del tempo.
Così, 26 produttori riuniti in associazione da oltre vent’anni collaborano con Chanel fin dai tempi di Mademoiselle Coco, alcuni, o dall’arrivo di Karl Lagerfeld, altri. C’è l’arte orafa di Goosens, quella calzaturiera di Massaro, i ricami e i tweed di Lesage, i bottoni e le fibbie di Desrues, i fiori e le piume di Lemarié, i cappelli di Maison Michel.
Luoghi magici e fuori dal tempo in cui qualità di un tessuto torna a essere sinonimo del tempo che si impiega per produrlo, scelta che vuole essere un manifesto contro la standardizzazione e la produzione a basso costo. Qui attraverso i corridoi costellati da scatole di perle e perline, fili di ogni tipologia lavorano 160 artigiani, i più qualificati del settore, autori dei più preziosi dettagli e manufatti della Maison.
Per la collezione andata in scena al Metropolitan Museum of Art di New York hanno realizzato incroci di perline, pietre e fili preziosi, gli iconici tweed intarsiati e le camelie, immancabile dettaglio realizzato interamente a mano, onnipresente ma anche sempre diverso nella realizzazione attraverso l’utilizzo di un’infinita varietà di tessuti.
Métiers d’Art di Chanel: l’omaggio di Karl Lagerfeld all’artigianalità
Si può quindi interpretare come una rivalutazione di competenze ed esperienze la decisione della Maison di realizzare una produzione intrisa di ricordi dell’arrivo di Mademoiselle Chanel nel Nuovo Mondo consacrati in un allestimento mash-up tra dell’Antico Egitto tra le rovine del Tempio di Dendur, risalente al 15 a.C. e oggi esposto in una sala del “Met”, e la stessa città di New York.
Un viaggio a ritroso nel tempo dove giacche o maglioni sagomati su gonne kilt fasciate da shendyt o wrap-around come in uso nell’antico Egitto, riprendono i golf originari lanciati a Deauville e celebrati nel 1914 come icone di un nuovo guardaroba chic dal magazine Women’s Wear Daily.
A susseguirsi splendidi tailleur in tweed adornati da monili o tubini sottili di come garza color avorio lunghi fino alle caviglie, come i kalasiris indossati da Cleopatra e dalle sue dame.
A differenza delle stampe che si fanno più accese ispirandosi alla grande architettura degli Anni Venti e alla scena postmodernista del Gruppo Memphis, come rimando alle ironiche suggestioni della capitale dell’Antico Egitto (Menfi).
Il colore diventa parte integrante della collezione che si può identificare nella parola “Iwen”, usata nell’Antico Egitto, che qui è realizzato in una tavolozza che va dalla gialla ocra o dall’oro simbolo dell’Osiride, al rosso Kermes, sangue della collera del dio Horus, dal nero carbone usato nelle raffigurazioni di Seth al bianco gesso delle “Nefer”, corona dell’Alto Egitto, fino al blu del dio Amon per trascolorire nel verde dell’occhio di Horus.
Straordinaria metafora che rappresenta sia il rapporto con la materia che l’esperienza pratica presente nelle varie dimensioni dell’artigianato. Un messaggio che riassume l’attitudine a opporsi al concetto di materialismo culturale che sminuisce il rapporto tra ragionamento intellettuale e la conoscenza astratta.
Supera questa dicotomia il valore del Métiers d’Art di Chanel che è in grado di dominare un confronto dei saperi astratti e pratica svolgendo un dialogo serrato tra azione e riflessività.