Clare Waight Keller, direttore artistico di Givenchy, dietro l’apparente fragilità, nasconde il fuoco di un’idea di eleganza che comprende un dark side e qualcosa di drammatico. Sarà guest star per il prossimo PittiUomo 96.
Si tratta di una novità doppiamente dirompente per la tradizione di Givenchy, perché oltre ad allontanarsi per una stagione da Parigi, quella presentata a Firenze sarà la prima collezione Uomo disegnata da Clare Waight Keller, che svilupperà anche una linea maschile indipendente per la maison.
GIVENCHY SS 2019 COURTESY IMAXTREE.COM
Le ultime sfilate dedicate alla donna sono appena finite ma gli addetti ai lavori sono già in fibrillazione per il mese di giugno che è alle porte.
Dopo tanti brand emergenti che al Pitti Immagine Uomo hanno spiccato il volo verso il successo nel fashion system, ecco tornare le grandi Maison del lusso internazionale. Il brand icona dell’eleganza francese e aristocratica, Givenchy sarà protagonista nella serata del 12 giugno in una cornice da sogno per presentare la sua prima sfilata “menswear only” sotto la direzione artistica della stilista britannica Clare Waight Keller.
Givenchy è un’azienda francese che produce capi di abbigliamento, accessori, profumi e cosmetici.
Fu il designer Hubert de Givenchy, a fondare la casa di moda nel 1952, e a dirigerla per oltre quarant’anni, con l’aiuto della sua musa e amica Audrey Hepburn. Nel 1988 l’azienda è entrata a far parte della holding multinazionale specializzata in beni di lusso LVHM Moët Hennessy Louis Vuitton SE. Hubert de Givenchy si ritirò dall’attività nel 1995 lasciando il proprio posto a John Galliano, che però fu sostituito da Alexander McQueen e, nel 2001 da Julien MacDonald, nel 2005 dallo stilista italiano Riccardo Tisci e nel 2017 Clare Waight Keller.
Clare Waight Keller by Steven Meisel
L’arrivo della nuova direttrice creativa alla guida della Maison ha suscitato molti rumors perché per oltre un decennio, il lessico di stile era stato dominato da una sensualità ferina, da un senso tribale e istrionesco, mentre i modi totalmente inglesi, di alabastro freddo potevano indurre a un’apparente fragilità, ma sappiamo che sotto indole coriacea si nasconde il fuoco.
In effetti, ha sempre lasciato che fosse il suo lavoro a parlare per lei, un’attività, quello della creativa inglese, che oggi, a vent’anni dall’inizio della sua carriera, le è riconosciuto dal Time, che l’ha inserita tra le 100 persone più influenti al mondo.
Nel profilo sintetico della sua brillante carriera, iniziata fin da piccola nelle stanze di casa a Birmingham, dove una madre sarta le cuciva i vestiti addosso, appuntandoglieli con degli spilli, lontana dagli sfarzi e dal fermento culturale di una Swinging London dove tutto quello che nasceva, diventava moda, subito “cool”. Lei ci arriva, più avanti nella capitale, per studiare al Ravensbourne College of Art, per poi specializzarsi in maglieria presso il Royal College of Art.
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Poco dopo, si ritrova dall’altra parte dell’Oceano a New York per esordire come stilista femminile per il marchio minimalista Calvin Klein.
“Dal punto di vista stilistico, il minimalismo non richiedeva molto impegno» racconta descrivendo la propria visione di moda «ma a un certo punto, il marchio è divenuto immensamente famoso, e di conseguenza, commerciale, con grandi numeri: il divario tra il prima e il dopo è stato talmente brutale, che ti rende necessario crearti una corazza, un’armatura».
Nella seconda metà degli anni ’90, sempre amata di tenacia e delle stesse spille passa al guardaroba maschile lavorando da Ralph Lauren disegnando Purple Label, la linea luxury del marchio. Da quest’universo estetico dove si lavora quasi al millimetro permettendole di andare in profondità approda nel 2000 a Firenze nell’ufficio stile di Gucci, regno incontrastato di Tom Ford, come stilista senior per le collezioni Prêt-à-porter donna e accessori, per rimanerci fino al 2004.
Una palestra dove ammette di aver imparato a trasmettere il messaggio in una maniera chiara e consistente di un brand, anche se l’esasperata sessualità immaginata dallo stilista texano, non è l’immagine che la riflette. Nel 2005 assume il ruolo di direttrice creativa per Pringle of Scotland, ridefinendo lo stile e la tradizione della maglieria della Maison, e qui che ritorna a ragionare con la tela della maglieria, un’arte che le viene naturale, visti i suoi studi.
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Finalmente capace di avere libertà e di immaginarsi la donna che vuole, senza dover più rendere conto alle proiezioni di altri datori di lavoro quasi tutti uomini, riporta il marchio sulla passarella per poi ricevere il premio “Stilista dell’anno” nella categoria cashmere agli Scottish Fashion Awards.
Il suo animo gipsy e romantico la porta ad aprire le porte della Maison Chloè, dove nel 2011 reiventa una silhouette fatta di femminile e di consistenze materiche morbide, ondeggianti, capaci di riportare alla mente fantasie bucoliche e tramonti infuocati su qualche campo dove le spighe di grano si muovono, mosse dal vento.
Un dialogo, tra il lato femminile con quello maschile su un’idea di moda reale, concreta, non il frutto di una qualche idealizzazione per diventare una missione che porterà avanti fino alla chiamata dal conte Hubert de Givenchy.
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La sua prima collezione presentata a Palais de Justice con imponenti marmi s’immerge negli archivi della Maison come un esercizio semplice e naturale, con l’umiltà che la contraddistingue e di chi vuole imparare, ancora, dai mostri sacri.
Ovvero, una donna che non risponde a un target definito di età, ma che ha una personalità precisa pur nella complessità invero muliebre che la caratterizza, capace di suturare delicatezza e rigore, asciuttezza e frivolezza in un modo d’essere incisivo quanto gentile. È il contrasto, drammatico senza barocchismi, tra la precisione mascolina del tailoring e la morbidezza femminile del flou a definirne il guardaroba, venato sempre di segni e sensazioni noir.
MEGHAN DUCHESSA DI SUSSEX CON IL PRINCIPE HENRY DUCA DI SUSSEX
La fama, che pure non ha mai cercato, a differenza di molti suoi colleghi, a quel punto non tarda arrivare: prima disegnando l’abito nuziale di Meghan Markle, ora duchessa del Sussex, in occasione del suo matrimonio con il principe Harry e poi essere insignita nel 2018 British Designer of the Year per la categoria dell’abbigliamento femminile.
Il resto è storia della moda così come l’ultima sfilata per la primavera estate 2019 che ha chiuso la settimana giornata di Paris Fashion Week portando in passarella uomo e donna assieme, con una linea che porta con sé il fascino dei contrasti raffinati.
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Ispirata alla scrittrice svizzera Annemarie Schwarzenbach, che negli anni Trenta è stata tra le prime a superare gli stereotipi di genere, vestendosi da uomo o da donna a suo piacimento fin da piccola, senza che i suoi genitori cercassero di ostacolarla. Per questo gli abiti proposti dalla stilista britannica sono molto femminili pur non essendo leziosi, rigorosi nel taglio ma perfetti per esaltare le forme del corpo e in particolare la vita. Anche gli accessori sono essenziali e rigorosi, mentre la moda maschile è un perfetto contraltare di quella da donna, con un’allure e un’essenzialità identica.
La scelta di Firenze e di Pitti Uomo per Givenchy conferma quella visione forte e moderna sulla moda maschile senza identità di genere, che deve sollecitare desideri e aspirazioni nel pubblico attraverso capi iconici e speciali che non si trovino ovunque. Un’eleganza curata nel dettaglio, nella precisione della linea, fuori dalle regole del tailoring del passato, perché non c’è bisogno di urlare o rivoluzionare in modo veloce, ma lavorare per farsi sentire. E nessuno, oggi, lo sa, meglio di Clare Weight Keller.
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