“Inside out. The social life of bags” è il titolo della mostra curata da Fabiana Giacomotti, che apre a Palazzo Morando di Milano in occasione di Mipel (12-15 febbraio): un viaggio nella storia della borsa dagli anni Cinquanta a oggi, che è anche un viaggio nella storia delle donne e dell’Italia.
Giornalista, scrittrice, curatrice di mostre. Fabiana Giacomotti, milanese, ha vissuto un po’ qui un po’ là, e parecchio a Londra.
Era convinta che la letteratura francese sarebbe stata la sua vita, tanto che si mantenne agli studi lavorando come annunciatrice tv, pur di non darla vinta al padre, che la voleva a tutti i costi medico, come da tradizione di famiglia.
Oggi Fabiana Giacomotti è una bella signora dai capelli biondi e dal sorriso solare.
Giornalista, docente presso il corso di Scienze della Moda e del Costume dell’Università “La Sapienza” di Roma, curatrice scientifica, insieme a manager del mondo della moda, di un programma di seminari sulla moda, e incarna lo stile e lo spirito di una donna contemporanea.
Ama follemente la carta stampata e ha una forma mentis dedita all’arte della bellezza, che la porta a curare numerose mostre di larga diffusione e successo, tra le quali ricordiamo “Trame di Moda. Donne e stile alla Mostra del Cinema di Venezia” per il Museo di Palazzo Mocenigo, a Venezia; “1924-2014. La Rai racconta l’Italia”; “I Promessi Sposi 2.0”, presso il Museo di Palazzo Morando, a Milano.
Il cammino di affermazione, grazie al suo savoir faire, la porta anche ai vertici del Mipel, tanto che Riccardo Braccialini, Presidente Aimpes, le chiede di valorizzare il contenitore del Mipel con una mostra in grado di rappresentare, in modo chiaro, l’eccezione della creatività e il raffinato design della pelletteria italiana.
Ne nasce “Inside out. The Social life of bags”, che verrà inaugurata stasera a Palazzo Morando: tra porta rossetti d’argento incisi e portamonete, bisacce e postine in cuoio, si ripercorre la storia di questi oggetti, preziosi e umili, di uso quotidiano.
Inedita anche la forma e lo stile del catalogo: un mazzo di carte per giocare al “Mercante in Fiera”, con borse e simboli che si legano secondo la creatività e l’estro pittorico dell’illustratore Federico Bassi.
Fabiana, quando hai capito che la moda era il tuo campo?
“Sai che mi pongo questa domanda da quasi vent’anni e non credo di essermi mai data una risposta? La moda m’interessa come fenomeno sociale e come espressione artistica, manifatturiera, anche economica. Ma non m’interessa, né ho mai praticato, la cronaca di moda: questo ha fatto la giacca blu, quest’altro la gonna a pallini. Tre righe a uno, due all’altro. La litania che accompagna le sfilate mi annoia da morire. Spiegami perché il tale ha prodotto la giacca blu e perché questa giacca blu ha un senso in questo momento storico ed economico, magari anche perché e con che cosa devo indossarla se sono una lettrice di femminili: questo m’interessa. E credo interessi tutti.”
Molti magazine ti hanno definito l’eterna viaggiatrice di sogni? Cosa ne pensi?
“Davvero hanno detto così? Che bellezza. A me sembra di essere fin troppo prosaica.”
Secondo te cosa rende gli accessori così speciali? Perché le donne ritengono così importante possedere una bella borsa?
“L’accessorio non è accessorio: facile giochino di parole, che però svela la natura fondamentale degli oggetti che accompagnano l’abbigliamento, che lo affiancano e lo valorizzano. Si dice spesso che basti cambiare le scarpe, la cintura o la borsa per trasformare lo stesso vestito, rendendolo irriconoscibile e sempre nuovo. Credo sia vero.”
Cosa c’è dentro la borsa di una donna?
“La stessa donna che la porta. Per questa ragione, poche ne mostrano il contenuto.”
Che cos’è per te la moda? E qual è il primo ricordo legato alla moda che hai?
“La moda è la mia mamma che esce la sera con una cappa di Balenciaga in raso duchesse color magenta e i capelli raccolti. E io che la vedo salire in auto dalla finestra della mia camera, cogliendo l’ultima visione di una scarpina di raso in tinta, prima che si chiuda lo sportello. La moda deve far sognare e divertire chi la sceglie.”
Qual è invece la tua idea di lusso?
“Poter fare le cose che mi danno gioia. E visto che al momento faccio solo cose che mi riempiono di entusiasmo, mi pare di vivere una vita lussuosissima.”
Quando scrivi o insegni hai in mente una persona ideale?
“Il mio obiettivo è innanzitutto di non far addormentare nessuno. Quando vedo le palpebre degli studenti o dell’uditorio che calano, ci infilo un aneddoto e spero di vederle riaprirsi. L’insegnamento mi ha resa sensibilissima sui ritmi dell’attenzione.”
Ci sono personaggi ideali ai quali t’ispiri?
“Ammiro i funamboli della parola, chi conosce le armonie profonde fra suono e significato. I miei scrittori sono dunque, inevitabilmente, Gustave Flaubert e Carlo Emilio Gadda, tutta la poesia simbolista. E il nonsense (apparente) di Lewis Carroll: “Comincia dal principio e arriva fino alla fine. Poi, fermati”.
Dove trovi le ispirazioni per i tuoi progetti, che poi sono realizzati in mostre di grande rilievo?
“Sono curiosa come una gazza e una lettrice compulsiva: libri, giornali, cartellonistica. Vorace sul serio: leggo perfino gli ingredienti e le indicazioni di consumo sulle scatole dei biscotti mentre li sto mangiando. E ascolto molto gli altri, le loro storie, le loro opinioni. Uno spunto mi è arrivato dal tassista che mi portava a una sfilata della couture a Parigi. Mi ha colpito che la direzione creativa di Dior affidata “à une italienne”, Maria Grazia Chiuri, fosse materia di dibattito anche fra chi non si occupa né di moda né di finanza. Basta anche un solo oggetto speciale a farmi desiderare di saperne di più, a immaginarmi la storia che porta inscritta. L’esposizione al Museo di Palazzo Morando nasce, in realtà, da una borsa da sera meravigliosa, in cuoio inciso e dalla forma sorprendente, di epoca napoleonica, che è conservata al Museo Mocenigo di Venezia e che avevo esaminato anni fa, in occasione di un progetto per la Mostra del Cinema: mi ero domandata che cosa avesse contenuto, che volto avesse la sua proprietaria, quali balli avesse accompagnato. Non sono riuscita ad esporla a Milano, purtroppo: i tempi burocratici per un prestito museale sono lunghissimi.”
Chi sono le persone che hanno influenzato la tua carriera?
“Sono stata fortunata. Ho lavorato solo con i migliori, come Marco Borsa, Indro Montanelli, Paolo Mieli, Giuliano Ferrara, Giuseppe Sottile. Tutto quello che so di art direction l’ho appreso da Fabrizio Sclavi, e di editoria libraria da Benedetta Centovalli. In università sono stata indirizzata da Guido Pescosolido prima e da una storica del calibro di Giovanna Motta poi; nelle esperienze museali ho avuto la chance di incontrare donne strepitose come Gabriella Belli, Marina Messina ed Enrica Pagella. E sono onorata dell’affettuosa benevolenza del grandissimo Piero Tosi.”
Il luogo in cui vivi quanto t’influenza?
“Molto, ma credo sia così per tutti. Mi galvanizza l’aria di Roma, che trovo meravigliosa anche in questo periodo difficilissimo della sua storia, e mi rasserena il “mio” lago, il Maggiore.”
Come definiresti questo progetto con Riccardo Braccialini?
“Un omaggio al ruolo muto e fondamentale delle borse come compagne di vita e di segreti femminili. Ma anche alla creatività dell’arte pellettiera italiana. Siamo davvero inesauribili, sia nella progettazione di nuove forme, sia nei dettagli: i dettagli metallici, le chiusure. In mostra ci sono una borsa di Giancarlo Petriglia, con la tracolla telescopica assolutamente strepitosa, e una Roberta di Camerino degli Anni Settanta, con la chiusura in metallo a chiave di violino, che è un prodigio di ingegneria.”
Ci racconti un aneddoto della progettazione di questa mostra?
“La grande sorpresa è stata l’accettazione di un allestimento così forte, così “intimamente femminile”, quasi psicanalitico, da parte del presidente di Aimpes, Riccardo Braccialini, e di Mipel, Roberto Briccola. Credevo l’avrebbero bocciato, e invece si sono entusiasmati. E mi ha fatto molto piacere che in tanti abbiano contribuito alla riuscita dell’esposizione: i brand, certamente, con i loro prestiti, ma anche i collezionisti e i tanti amici che hanno partecipato a quella vera e propria “caccia al tesoro” che è stato il recupero degli oggetti autentici da affiancare alle borse, decennio per decennio, simboli dell’evoluzione delle esigenze femminili: le chiavi dell’utilitaria, il portarossetto d’argento Anni Cinquanta, il Walkman originale Anni Ottanta (e in perfette condizioni), lo StarTAC, i Ray Ban Wayfarer da “pilota”, il foulard Gucci Settanta da annodare al manico della borsa, la prima edizione della “Lettera a un bambino mai nato”, uno choc ma anche un caposaldo nella formazione di chi, come me, negli Anni Settanta era appena adolescente. Sono più di quaranta. E poi, c’è stato il contributo di Booma Group con le sue centinaia di “mani d’oro”, e il supporto di Rai Teche, che mi ha permesso ancora una volta di frugare nei suoi archivi.”
Sembra che questa mostra rifletta la tua personalità e il tuo stile di vita.
“Se per “riflesso” intendi l’incapacità di scindere materia e pensiero, sì. La vita segreta delle cose, la loro relazione con il tempo, mi affascina molto: “Un’ora non è solo un’ora, è un vaso colmo di profumi, di suoni, di progetti, di climi”. Sono una bergsoniana fatta e finita.”
A che punto credi che sia la moda?
“Mi diverte vedere come si sia trasformata in mass market, negandolo con tutti i mezzi a sua disposizione. “
E già stato raccontato tutto?
“Spero proprio di no, nella moda, come in ogni espressione della creatività. E ne ho avuto conferma anche da questa mostra, dove viene esposto il prototipo di “bodybag” di una geniale ventenne di Rimini, Cecilia Serafini.”
C’è ancora spazio per la ricerca e l’innovazione?
“Certo, purché, e mi spiace davvero dirlo, trovi i mezzi per esprimersi e per promuoversi. Rispetto a qualche anno fa, i giovani fanno davvero fatica a farsi conoscere. La logica delle multinazionali non vince solo nel food, ma anche nella moda. Però, mi sembra di cogliere qualche primo segnale controcorrente: c’è più voglia di ricerca e di unicità, di esperienze personali nella scelta e nella creazione di un capo o di un accessorio da parte di chi acquista moda. Dopo la presa di coscienza nell’alimentazione, conto in un prossimo movimento di slow fashion.“
In questo periodo di crisi che ha investito per ultimo il mondo della moda, quali misure pensi si debbano prendere per capovolgere il trend negativo?
“Se intendi dire misure economiche, dovresti chiederlo al ministro Carlo Calenda, che già tutti tirano per la giacca, in cerca di sgravi e aiuti. Credo che la defiscalizzazione dei campionari e della prototipia sarebbe già un buon inizio. Anche, e soprattutto, per i giovani.“