
La storia di Gianni Versace diventa la storia della moda italiana che dagli atelier alle holding di lusso continua a scrivere pagine, ancora, capaci di incantare.
“IO GUARDO SEMPRE IL FUTURO.
VORREI ESSERE QUI QUANDO ARRIVERRANNO GLI UFO.
NON VORREI MORIRE MAI”
15 LUGLIO 1997
Se si dovesse racchiudere la storia del costume degli anni Ottanta in appena dieci immagini, tra queste non potrebbe mancare la copertina di Donna con Linda Evangelista del settembre 1985: una silhouette imponente, un caban bianco e nero di Gianni Versace in una fotografia di Giovanni Gastel, si impone agli occhi di donne che hanno appena riposto i cartelli della contestazione femminista.
Qualcosa di più di una copertina, qualcosa di diverso da un’immagine di moda, qualcosa di importante per l’estetica del decennio che scaldava i motori, era pronto a graffiare ogni settore: dalla cultura al design, dalla moda all’architettura, dalla musica alla televisione , tutto pareva in incontenibile fermento di quel decennio che voleva dimostrare di avere le spalle larghe. Si aveva voglia di esplorare nuovi territori, proprio come faceva Versace.

“SIAMO NEL DUEMILA , NON NELL’OTTOCENTO.
C’È UNA CLIENTELA CHE È STANCA DEL VECCHIUME
E VUOLE ESSERE MODERNA”
1987
Per tutti divenne un punto di riferimento perché, comunque era il più forte, quello che aprì dei discorsi nuovi.
Dall’altro canto, l’innovazione era la cifra che colpiva quando qualcuno lo incontrava sulla propria strada. Un ragazzo timido innamorato della bellezza, e questo gli permetteva di indagare i misteri, di appropriarsi del suo potere e della sua forza: di bellezza si nutriva, viaggiava e acquistava opere d’arte per creare e donare altra bellezza.
Il sole, l’energia del Sud, il calore, la seduzione e il piacere sono tutti elementi che hanno sempre e ancora oggi nutrono la moda di Versace: credo che fossero radicati nella sua storia e nel suo destino quando ha deciso di scrivere le prime e le ultime pagine della sua vita in due città marine.

MI CHIEDONO TUTTI CHI PUÒ VESTIRE VERSACE ….
NON LO SO, TUTTI POSSONO VESTIRE VERSACE.
SO INVECE , CHI NON PUÒ VESTIRE VERSACE:
LE PERSONE NOIOSE, QUESTO È SICURO”
1978
Sono pochi i creatori di moda dei quali la vita, la personalità, le amicizie, gli interessi coincidono con il lavoro: Versace è uno di questi.
Le sue creazioni erano ispirate dall’arte come dalla strada, da Miami, e dal suo peregrinare nel mondo alla continua ricerca della bellezza, dalla Magna Grecia e dal Neoclassicismo, la cultura dell’immagine dei magazine di riferimento Harpe’s Bazaar e Vogue, l’allure della Casa Reale Inglese nella persona di Lady D e la sfrontatezza camaleontica di Madonna: tutto confluiva in un tessuto, in un taglio e in un ricamo.
Inoltre, emozioni ed esperienze private e quotidianità si riversavano nella sua moda con la stessa naturalezza con cui le emozioni si stendono sulle pagine di un diario privato: visita una mostra a Kolo Moser al Padiglione dell’Arte Contemporanea, oggi PAC in via Palestro, e trasferisce su un cappotto la lezione della Secessione viennese; assiste a una partita di tennis che gli ispira una collezione di camicie da uomo senza colletto; l’invasione sovietica in Afghanistan gli ispira la collezione AI 1980-81, realizzata studiando il costume etnico di questo paese; vede le prove della “Josephlegende” (La leggenda di Giuseppe) al Teatro alla Scala con le coreografie di Joseph Russillo e le scene di Luigi Veronesi e crea i costumi “Leda e il cigno” (1987) per le coreografie di Béjart, con un magico tutù di piume di struzzo per Luciana Savignano che quando si aprì il sipario ci fu un impatto che mozzo il fiato del pubblico, prima ancora che il balletto avesse inizio; visita Ravenna con Ingrid Sischy, rimane incantato dai milioni di tessere d’oro che impreziosiscono il Mausoleo di Gallia Placida e che fanno stagliare la figura di Teodora di Bisanzio nella Basilica di San Vitale e spande questi bagliori sull’ultima collezione Atelier Versace presentato a Parigi, pochi giorni prima della sua morte.

PENSARE COSTUMI PER IL PALCOSCENICO SIGNIFICA FORZARE L’ANIMA TEATRALE DELLA MODA FINO ALLE SUE ESTREME CONSEGUENZE:
HO SEMPRE PENSATO CHE LE DUE COSE FOSSERO LEGATE DA UNA OSMOSI FORTISSIMA”
1991
Tutto diventa abito, creazione. In una sola parola moda.
I vecchi pregiudizi che volevano presentare il corpo della donna come più debole, di quell’uomo furono travolti da questa prorompente rivoluzione nel modo di creare, che delineò gli anni futuri, e influenzò la dialettica dei sessi.
Versace afferrò al volo l’importanza di questa evoluzione del corpo femminile e seppe creare una moda che assecondava gli sviluppi e di metterne in risalto il rinnovato potere della Seduzione.
Né scaturì l’immagine di una donna che scopre tutta la forza della propria femminilità, di una femme-femme che sa conquistare con imperiosa autorità, di una seduttrice che si abbandona al piacere di esercitare il proprio fascino con un ammicco consapevole, con un divertito distacco.
Quella di Versace era ed è una moda che si situa al limite di questo confine tra antico e moderno, tra il lusso delle creazioni che richiamano alla mente i fasti dell’Haute-Couture e la praticità del quotidiano, tra il virtuosismo esercitato nell’antica arte del drappeggio e la forza dei tessuti tecnici, incredibile esempio di ricerca tecnologica applicata all’esaltazione della nuova “nègligence”.

VESTO LE MIE DONNE COME SE FOSSERO SOSPESE TRA IL CIELO E LA TERRA,
AVVOLTE IN TENERI DRAPPEGGI MA ANCHE CONTENUTE IN RIGIDI BUSTIER….”
1988
“Chi non ha memoria non ha futuro” ammoniva Primo Levi e questo vale anche per un mondo come quello della moda, condannato a reinventarsi continuamente, per creare a una linea ogni mese.
Il mondo della moda e la nostra epoca sembrano affetti da una sorta di Alzheimer sociale che porta a dimenticare le esperienze, gli sforzi, le intuizioni di chi non c’è più.
Non ricordare Gianni Versace significherebbe dimenticare la nascita di un fenomeno come le top-model e il prêt-à-porter italiano.
La sua morte ha sicuramente insegnato qualcosa al mondo della moda. Lui stesso ha insegnato a questo mondo che si può essere un uomo di grande successo restando se stesso, gentile, umile, sorridente, curioso: solo i grandi possono essere così.

“NON SONO IO CHE HO SCELTO QUESTO MESTIERE,
MA QUESTO MESTIERE CHE HA SCELTO ME”
1966