Intervista a Yuri Catania, fotografo di fama internazionale. Un viaggio alla scoperta del suo mondo fatto di bellezza.

Yuri Catania è un fotografo italiano conosciuto a livello internazionale. Milanese di nascita, ora è solito lavorare soprattutto all’estero.
Noi di The Ducker abbiamo deciso di intervistarlo e di condividere con tutti i nostri lettori l’esperienza di una persona che ha dimostrato di avere molto coraggio e ambizione oltre ad un eccezionale talento.

Yuri, ora sappiamo che vivi in Svizzera. In poco tempo hai raggiunto grandissimi risultati. Quando hai cominciato a fotografare e quando hai capito che questo sarebbe diventato il tuo lavoro?
Ho cominciato a fotografare intorno all’età di nove anni con la convinzione di fare cose alternative già allora. All’epoca usavo una Canon Snapshot rossa edizione Olimpiadi Los Angeles 1984 ricevuta per la cresima.
I soggetti erano i più disparati: oggetti in casa, compagni di giochi, la mia famiglia (mia nonna in particolare) cose trovate per strada. Il problema, allora essendo così piccolo, era che la fotografia personale richiedeva necessariamente e costantemente soldi da chiedere alla mamma per i rullini nuovi e per poterli stampare al laboratorio sotto casa. Non avevo spazio o soldi ai tempi per una camera oscura. Mi ricordo che i tempi tra lo scatto e poi la verifica dei risultati ottenuti, si trasformavano in attese estenuanti che si rivelavano poi in delusione e frustrazione per i risultati mediocri ottenuti rispetto all’idea, che mi ero fatto nel cercare quello scatto. Poi crescendo, mi sono accaparrato il ruolo di fotografo ufficiale delle vacanze in famiglia, e li ho potuto a volte osare molto di più, perché vi erano anche i ricordi delle vacanze.
Quelli sono stati i primi reportage di successo (in ambito familiare). In realtà ho capito che la fotografia sarebbe diventata la mia professione solo molto più tardi e solo grazie all’incoraggiamento di Silvia che è poi diventata mia moglie e socia nel lavoro. Nel 2002, ci eravamo appena conosciuti da pochi mesi, siamo partiti per un mese per viaggio “On the road” in Africa. Ottomila chilometri da Capo di Buona Speranza in Sud Africa, fino al confine tra Namibia e Angola e ritorno.
In quell’occasione mi ero portato una macchina fotografica reflex sempre Canon e ho scattato liberamente un sacco di fotografie e al nostro ritorno nel vedere le diapositive che avevo scattato, lei mi ha spronato a credere e intraprendere la carriera di fotografo.
Solo nel 2004 da fotografo hobbista autodidatta, ho cominciato a fare dei piccolo progetti per stilisti e aziende di moda amiche, poi da lì a poco, ho cominciato seriamente a prendere le mie prime commesse per lavori come look book e cataloghi. Mi ricordo che il mio primo lavoro pagato importante è stato un look book per Cruciani e poi è stato un divenire grazie al passa parola. La mia prima campagna commerciale è stata per Ash nel 2006.

Molti considerano il mondo della fashion photography un ambiente ostile e poco vivibile. Sei d’accordo con questa linea di pensiero?
Diciamo che il circo della Moda, come lo ironizzo io, è un ambito che porta le persone (di solito quelle meno importanti e mediocri) a darsi delle parvenze a volersi fare sentire importanti alle spalle delle conoscenze o per i brand per i quali lavorano prendendosi troppo sul serio. Di conseguenza, si creano come delle caste che ostentano amicizie e stili di vita nella convinzione di aumentare il “proprio potere” condividendo solo con chi ne ha di più. Questo ahimè, per opportunità o protagonismo.
In realtà questo tipo di persone e atteggiamento insito nell’essere umano ed esiste un po’ in tutti i settori in particolare, dove l’apparenza e l’opportunismo dominano, vedi la politica, il Cinema, TV.
In questo magico mondo, ci sono capitato per caso nel 1996, come commesso durante l’università da Versace e mi sentivo ai tempi, un po’ come il Candide di Voltaire. Con gli anni pur non frequentando certi ambienti o giri di persone importanti, ho trovato la mia strada professionale. Una mia nicchia fatta d’incontri di vita che il più delle volte sono diventati anche vere e proprie amicizie, con persone veramente capaci e piene d’idee con le quali è bello condividere l’esperienza del creare insieme una storia fatta solo d’immagini al servizio dell’espressione del bello e dello stile. Per il resto, mi dico sempre, che siamo fortunati a fare un lavoro bellissimo, ma al tempo stesso inutile, perché non salviamo nessuno e per questo che bisogna essere seri, ma mai pretenziosi, o prendersi troppo sul serio. Questo anche per rispetto di chi con il proprio lavoro aiuta e salva veramente vite tutti i giorni, nel pieno anonimato.

Le tue fotografie richiamano spesso a realtà e ambienti soprannaturali. Questa scelta di stile è stata fatta per evadere la realtà o per rappresentare la realtà in forma onirica?
Diciamo che io penso che la narrazione dell’immagine nella moda molte volte si avvicini di più alla finzione che alla realtà. Questo nel cercare di esaltare dei concetti di bellezza e di stile, si tende a creare degli stereotipi ben lontani dal quotidiano. Anche l’utilizzo dei modelli è una forma di bellezza stereotipata il più delle volte.
Tutto questo però diventa necessario, perchè in fin dei conti il fascino nasce dal misterioso, dal non quotidiano, da qualcosa che non vediamo tutti i giorni. Quindi, per me uno shooting in moda rappresenta, come nel cinema o nel teatro, una vera e propria messa in scena che ha le sue regole e possibilità interpretative diverse dal mondo quotidiano al quale poi si rivolge. Penso che sognare e far sognare non sia peccato anzi l’importante è sempre avere dei valori nel rispetto di chi lavora con te al progetto e a chi si rivolge.
Preferisco comunicare con il mio lavoro un mondo onirico, a volte surreale che un mondo falso tendenzioso al solo scopo di vendere di più (come succede spesso in pubblicità).

Ci sono quindi dei messaggi che vuoi lanciare attraverso i tuoi scatti, quali in particolare o credi principalmente nella fotografia creata per un puro estetismo?
Io nei miei scatti per la moda non vedo in realtà dei grandi messaggi. I grandi maestri possono avvalersi di tale ruolo, perché hanno rivoluzionato il modo di fare fotografia e creato degli scenari impensabili e di profonda bellezza.
Mi diverto di più a pensare che la fotografia come ogni forma di espressione è un mezzo per arrivare a un risultato, che nel mio caso come interprete di collezioni e prodotti esclusivi e di moda ricade nella necessità di vestirli di valori emozionali e unicità interpretativa.
Tutta la progettualità, che ne scaturisce fa parte di uno studio a monte per far sì che questo avvenga. Non vorrei essere frainteso, ma la fotografia di moda il più delle volte non porta dei grandi messaggi. Forse non serve neanche a questo. Perché non genera discussione, non crea domande nelle persone. Tutti si limitano ad ammirare un’estetica che tende alla perfezione e che quindi dice già tutto almeno in superficie.
La fotografia di moda è un mezzo per esprimere una tendenza per raccontare un vestito nel modo più affascinante possibile.
La fotografia, che amo di più, invece è quella che sorprende il fotografo, che ti arriva dentro prima ancora di avere lo scatto. Quella che cerchi di catturare e che il più delle volte non riesci a fermare nell’istante perfetto che ti eri immaginato. In questo modo di vivere la fotografia, trovo molto più pathos e quindi relazione con le persone che guardano poi il tuo lavoro. Generare discussione, creare emozioni.
Di fronte a un’immagine vera le persone sono più propense a sorprendersi, a cercare di capire il perchè, di chiedersi chi e cosa sta facendo il soggetto, cosa ha provato il fotografo nel fare quello scatto, etc… Quando la tua fotografia apre dei nuovi mondi, allora credo che hai fatto qualcosa di buono e che questo merita di essere considerato un messaggio. Ci sono persone che guardando le mie foto personali e poi vi hanno dedicato delle poesie, hanno provato delle emozioni fino a commuoversi. Alcuni addirittura partendo da una mia foto hanno costruito a loro volta dei racconti o composto delle musiche. Questo nelle fotografie di moda che creo non mi è mai successo. Sono belle ma nulla di più.

Qual è la cosa che trovi più difficile fotografando e quella che invece ti gratifica di più?
Se parliamo di moda diventa tutto difficile, quando non c’è trasporto e ammirazione per il prodotto che sto fotografando e a volte mi è capitato. Questo rende tutto più difficile perché devi capire con quale stratagemma visivo o narrativo devi riuscire a dare un valore esaltante a qualcosa che già per te non ha niente da dire.
Diverso, invece, quando il prodotto e chi lo ha creato ti trasmettono energia, emozioni in termini di ricercatezza, bellezza e stile. In questo caso tutto diventa più facile o almeno nell’esaltazione del ruolo cerchi di diventare un tutt’uno con quello che di bello hai davanti, creando una comunicazione esaltante ricca di spunti e idee.
Questo mi gratifica. E credetemi anche se ne abbiamo sempre tutti un disperato bisogno, alla fine la gratificazione non è mai per i soldi, ma è sempre per l’opportunità di poter lavorare e creare storie con persone capaci di creare a loro volta prodotti unici che ti permettano di esaltare con il tuo lavoro qualcosa che merita e che ti fa crescere in termini di cultura.
Queste opportunità, quando capitano, non hanno prezzo. Forse poter lavorare sempre di più per progetti contemporanei, per prodotti sartoriali e con couturier, mi darebbe molta soddisfazione, non lo nego.

Hai obiettivi e aspirazioni precise per il futuro?
Divertirmi sempre di più in quello che faccio e cercarlo di farlo sempre meglio e con più consapevolezza. Sono già passati più di 13 anni, eppure ad ogni shooting, mi sento sempre emozionato come agli esami di Maturità.
Ho sempre voglia di fare di più. Ho sempre la necessità di non deludere le aspettative di chi mi ha affidato il lavoro e gratificare il team che lavora con me per far sì che l’impegno di ognuno, modelli compresi ottenga il risulta migliore. Poi il futuro è un grande punto di domanda, ma credo, che mi piaccia, che sia così. In termini di aspirazioni mi piacerebbe fare sempre di più lavori commerciali, solo nell’ambito video e invece nella fotografia che è e rimane il mio grande amore, poter fare sempre di più lavori personali senza committenti o compromessi. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò un’altra volta.

Al giorno d’oggi, la fotografia è un mezzo che si è esteso praticamente a tutti. Questa mercificazione la trovi deleteria per la professione del fotografo oppure credi che la fotografia debba essere un mezzo alla portata di tutti?
Chi ancora parla della fotografia in questi termini è già morto e sepolto. Il progress della comunicazione di ogni singolo, se di questo si parla, non si può fermare o rallentare per paura che troppe persone possano avvicinarsi a un mezzo, considerato elitario fino a qualche anno fa. Essere in pochi a fare qualcosa è da sempre un vantaggio straordinario per gli stessi che lo fanno, perchè possono dettare a loro piacimento le regole ed ergersi a fenomeni sovrannaturali. Il tempo degli sciamani della fotografia è finito.
Oggi non è più cosi. Meno male dico io. Sarebbe lo stesso che uno chef non volesse o criticasse aspramente il fatto che una persona comune possa cucinare a casa qualcosa di più che un semplice piatto di pasta e comunicarlo al mondo attraverso ai social media. Anzi, ben venga che una forma di espressione a prescindere di come si usi e con quali risultati sia alla portata di tutti. Questo vuol dire più creatività più scambio. Chi sono io, per affermare, che io sono un fotografo e tu no. Ho frequentato le scuole d’arte, ed è ho imparato che la matita, il pennello o la macchina fotografia sono uno strumento per esprimere materialmente e quindi scatenare le proprie idee, per esprimere emozioni. Così credo, che sia in tutte le espressioni dall’arte alla danza, dalla musica al cinema.
La differenza in una fotografia è data solo dalla sincerità di chi la scattata. Quando decido di scattare un’immagine, lo faccio con tutto me stesso, e provo una grande emozione e trasporto nel farlo. Questo a me basta. Se poi le foto, oggi, le facciamo tutti non è un problema. Le linee di confine sarà sempre data chi compra e non da chi fa. Mi pagano, perchè sono bravo in quello che faccio, non perchè lo faccio solo io. Quindi, se per “colpa” del progresso, non avrò più lavoro come fotografo sarà solo colpa mia che non ho saputo leggere le esigenze del mercato.

Dai un consiglio agli utenti che ci seguono su The Ducker e che vogliono proseguire e investire sulla fotografia.
Il mio unico consiglio che do ogni giorno a me stesso e di essere audace, aperto ad ogni cosa che mi circonda e di farne tesoro. Poi, come in tutte le cose vince più di tutti alla fine chi è risoluto e sa accettare i sacrifici e il rischio delle proprie scelte nel tempo, senza mai mollare. Quindi, chi decide di fare della fotografia una scelta di vita, dovrà fare di tutto per riuscire a mantenere nel tempo l’entusiasmo per essa come per un grande amore.