Primo direttore creativo di sempre della storia del brand. Onere ed onore di Alvaro Maggini, da febbraio 2019 in Panerai. Con un’ambizione che la dice tutta sul suo temperamento e sul suo talento: fare ciò che Karl Lagerfeld ha fatto per Chanel.

Alvaro Maggini, dal febbraio 2019 Direttore Creativo di Panerai. Tra le sue precedenti esperienze in campo orologiero, quella di Direttore Creativo di Roger Dubuis, dal 2011, e di responsabile della strategia creativa di Jaeger-LeCoultre, dal 2017 all’inizio del 2019.
Alvaro Maggini, dopo l’esperienza in Roger Dubuis il nuovo Ceo di Panerai Jean-Marc Pontrouè l’ha rivoluta al suo fianco in questa nuova sfida. Cosa le ha chiesto?
Mi ha chiesto di ridare al brand un’identità che sia molto più legata a quella stessa vera identità che il prodotto ha. Di dare un tocco un po’ più sexy, un po’ più cool. Per essere più pragmatici, per essere un po’ più orientati anche ad un pubblico più giovanile. Non tanto in termini di età quanto più aperto a tutto ciò che è novità, innovazione, cultura. Mi ha chiesto insomma di essere più contemporanei. E anche di dargli una mano ad esplorare i tre elementi che lui stesso ha definito: l’italianità, il Dna militare e il mare. Perché Panerai è l’unica marca che nella sua storia ha lavorato a stretto contatto con la Marina per la fornitura di strumenti. Tutti elementi che prima quasi non si vedevano.
Quali sono le sue sfere di influenza in questo processo di cambiamento?
Io mi occupo di tutto, tranne che di prodotto. Naturalmente ho un’ottima equipe, ma gestisco ancora tutto personalmente. Non vorrei paragonarmi a Karl Lagerfeld, perché lui era un genio, ed io non lo lo sono. Ma faccio tutto. Io ho lavorato con lui, e lui faceva tutto. Lui era dappertutto. Non c’era una calza o un polsino che uscisse senza che non lo avesse validato lui. E io faccio altrettanto. A me piace anche vestire Jean-Marc Pontrouè. Lo sto vestendo in modo molto più italiano. E questo mi piace. Lui è un uomo molto sportivo, molto in gamba, un boss molto vorace e bulimico. Io invece sono uno ossessivo per il dettaglio, che non lascia mai la preda. Immaginate cosa possa voler dire mettere insieme due così! Io parto sempre dal lato creativo e ho bisogno di gente come lui. Come è stato per Tom Ford, per Galliano, per Tisci o Alexander McQueen. Hai bisogno di qualcuno che mi lasci esprimere. E lui è capace di lasciarmi esprimere. Mi dà fiducia, carta bianca. Ho un lavoro che mi appassiona. Io dico sempre “Je kiffe”. Che in francese riassume tutto.

Un po’ svizzero, un po’ italiano. Alvaro Maggini ha studiato micro-tipografia alla Kunstgewerbe Schule di Basilea per poi lavorare per agenzie come Young & Rubicam, GGKBasel e McCann-Erickson.
Arrivando in febbraio è riuscito a dare la sua impronta alla nuova boutique Panerai di Roma?
Poco. Sono riuscito a cambiare alcuni dettagli in corsa, a modernizzare un po’ le cose. Le vetrine, gli espositori dove si mettono gli orologi, questo sì è nuovo, completamente nuovo. E poi tutto quello che è visual. Ho lavorato con i migliori fotografi. Gli orologi sono fotografati, non sono dei rendering 3D, così come sono vere le pietre sottomarine dell’ambientazione. Abbiamo messo i tappeti, abbiamo aggiunto calore. Ho rifatto tutte le biblioteche. Sembrano piccole cose ma si notano. E poi la filmografia, stiamo facendo ricorso molto più di prima ai film, e alla scenografia per gli eventi. Per non parlare delle decorazioni. Non voglio piante. Le uniche che posso accettare se proprio si vogliono delle cose verdi sono i cactus, e basta. Li adoro, sono giusti, maschili, pericolosi. E infine il cibo. Non c’è un solo evento al mondo in cui non si mangi italiano, voglio la vera cucina italiana, il vero vino italiano. Da noi non c’è champagne, ci sono le bollicine italiane. Chi non gradisce, che beva acqua.
Qual è il suo approccio?
Sto facendo il lavoro che Karl Lagerfeld ha fatto di Gabrielle Chanel. Riutilizzo gli elementi. In boutique per esempio quello che voglio fare è liberare i prodotti, che prima erano incastrati dietro ai banchi di vendita. Abbiamo fatto delle analisi e abbiamo visto che i clienti erano bloccati, erano costretti a sporgersi per osservare un orologio. L’architettura non deve essere un ostacolo. L’architettura destinata al retail non è la stessa che si occupa della costruzione di un’abitazione. Un ottimo architetto può esserlo nella costruzione di una villa ma se non ha un’esperienza di retail tutto diventa complicato.

Dal 2003, nel suo curriculum anche esperienze di re-branding. Prima dell’approdo nel mondo dell’orologeria ha messo la sua creatività al servizio di realtà del lusso come Chanel e Dior.
Ha detto che non si occupa della parte prodotto. Non sarebbe tentato?
A livello di prodotto sono giusto un consulente che dà a volte delle idee sul design, sui colori, sui cinturini. Panerai è un brand molto sportivo, molto italiano, molto di design, molto giovanile. Ho introdotto i quattro nuovi colori. Trovo per esempio che il verde sia molto bello. È l’equivalente di un blu, ma più avanguardista. Vogliamo poi parlare del particolare tono dell’oro rosso di Panerai? Perfetto per sposarsi con tutti i colori. E il bronzo? Geniale.
Cosa pensa di portare in Panerai dalle sue esperienze precedenti?
La marca c’entra relativamente. Tutto ciò che puoi fare è realizzabile solo se dietro di te hai qualcuno che crede in quello che fai. Ho lavorato da Roger Dubuis, Jaeger-LeCoultre, Piaget, ho avuto a che fare con moltissimi brand in tutti i settori, dalla moda al beauty. Da Roger Dubuis per esempio tutto era possibile, ma non avevamo a disposizione i mezzi finanziari che ci sono qui o che ho avuto in Jaeger-LeCoultre. C’erano molte idee, ma non potevamo realizzarle tutte. In Panerai c’è un budget molto più considerevole e questo permette di essere molto più presenti. Posso veramente andare molto più in profondità, posso penetrare di più il mercato con un diverso messaggio.
Quanta importanza avrà la storia del brand nel suo lavoro in Panerai?
Penso che sia la cosa più importante che ho. E che prima non avevo, e quindi dovevo inventare. Qui invece c’è, ed è ancora un mondo inesplorato. Più si va avanti e più si aprono orizzonti. Ma tutto dipende da come la si racconta. Senza contare che non tutto può essere raccontato. Panerai è una sorta di Dr Jackil e Mr. Hide. C’era una storia alla luce del sole e una storia segreta. Ed è questo che mi affascina, il fatto che di qualcosa non sapremo mai niente. E questo crea il mito. Ma poi alla fine conta pur sempre il prodotto, e quello c’è, esiste. Perché io posso anche raccontare tutto quello che voglio, ma se il prodotto non c’è la storia da sola non sta in piedi.