L’impegno di Audemars Piguet nello sviluppo dell’arte contemporanea trova una nuova intensa conferma alla Biennale d’arte 2019.
Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione di Audemars Piguet e pronipote di Edward Auguste Piguet, uno dei fondatori della Maison, Olivier Audemars ci ha condotto alla scoperta del forte legame che dal 2012 lega l’alta orologeria del marchio all’universo artistico. Due mondi che attingono nutrimento dalla creatività. Ma che vivono soprattutto in virtù del talento umano e di una libertà espressiva che va perpetuata e rispettata. L’arte contemporanea diventa così una strada per una approfondita comprensione del brand, ma anche di tutta la bella orologeria svizzera legata alla terra che le ha dato i natali. Un viaggio emozionante in cui Audemars Piguet ha spiegato quanto la condivisione tra gli esseri umani, il dialogo e le emozioni siano ancora fondamentali nei tempi in cui viviamo. Uno strumento per renderci in grado di affrontare, ognuno, le proprie sfide verso il futuro.
Olivier Audemars – Vicepresidente del Consiglio di Amministrazione di Audemars Piguet e pronipote di Edward Auguste Piguet
The Ducker: La 58° Esposizione Internazionale d’Arte è intitolata “May You Live In Interesting Times”. Un titolo che, a detta del Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, può evocare l’idea della sfida verso nuovi sviluppi. Contemporaneamente anche l’industria orologiera sta vivendo un periodo di trasformazioni. Quali sono le sue sensazioni e pensieri a riguardo?
Olivier Audemars: La storia dell’orologeria si è evoluta attraverso numerose trasformazioni e talvolta anche sfide difficili. Nel tardo XIX secolo gli Stati Uniti iniziarono ad industrializzare la produzione di orologi, realizzando centinaia di migliaia di pezzi. Questa evoluzione arrivò anche in Europa e in Svizzera. Ma i due fondatori di Audemars Piguet non vollero seguire questa strada e continuarono a produrre orologi che possedevano un significativo contenuto di talento umano. Questo obbiettivo era già alla base della creazione del marchio e quindi rappresentò una scelta ed una sfida nel perpetuare la propria tradizione. In seguito, mio nonno, Paul-Edward Piguet, mi raccontò che nel 1928, prima della grande depressione, gli agenti degli Usa che allora rappresentavano il moderno 50 % del turn over andarono in bancarotta e distrussero l’azienda: nell’anno successivo producemmo soltanto un orologio. Questa esperienza del passato è stata la ragione per la quale qualche anno fa non siamo stati avventati nell’entrata sui mercati cinesi, a differenza di altri marchi dell’orologeria. Quindi è vero che oggi stiamo vivendo in un periodo di trasformazioni. Ma, in una prospettiva di lungo termine, la storia del marchio è stata sempre una storia di sfide per trovare la propria via verso il futuro.
Audemars Piguet – Il laboratorio di assemblaggio nella Manifattura nell’anno 1923.
The Ducker: Tra le famose sfide di Audemars Piguet che sono diventate un successo a livello globale c’è sicuramente il Royal Oak.
Olivier Audemars: Certo! A causa dell’era del quarzo negli anni ’70 l’orologeria svizzera perse molti marchi che sparirono per sempre dal mercato. Fu in quel momento che decidemmo di creare l’orologio Royal Oak, come una risposta ai cambiamenti sociali. Capimmo che al di là della richiesta di orologi al quarzo a cambiare era soprattutto il modus vivendi del pubblico. Le persone stavano modificando la loro percezione nei confronti dell’orologio ed il mercato richiedeva un segnatempo da indossare in ogni circostanza. La sfida fu per noi trovare una soluzione che permettesse di continuare a realizzare belle complicazioni e meccanismi meccanici adattati però alla nuova esigenza di essere indossarti sempre. Il Royal Oak fu la risposta: la salda sicurezza per proteggere la bellezza del meccanismo interno. Abbiamo imparato che nulla è scontato e dobbiamo sempre essere pronti per poter realizzare forti cambiamenti. Mutazioni che possono anche essere percepite come un po’ folli all’inizio, ma che permettono di continuare la ragion d’essere della tua azienda.
Nel 1972, il Royal Oak di Audemars Piguet sovverte i codici dell’orologeria con la sua cassa in acciaio, la lunetta ottagonale e il quadrante Tapisserie. Da allora, è diventato un’autentica icona.
The Ducker: Per certi versi oggi l’era degli smart-watch è molto simile a quella del quarzo degli anni ’70…
Olivier Audemars: Assolutamente. Oggi viviamo in un mondo molto instabile. Siamo circondati da oggetti che non comprendiamo bene: il funzionamento di uno smart phone è compreso da pochi, non è dato sapere con certezza dove sia prodotto, il giorno in cui viene acquistato è già obsoleto, perché subito seguito da un modello più performante. Nell’alta orologeria invece noi creiamo piccole e bellissime meccaniche che sono fatte dal talento umano. Il pubblico può incontrare i maestri orologiai fisicamente, e ogni cliente, sebbene non sia un intenditore specializzato di meccanica, può comprendere il segnatempo. Perché l’orologio è un prodotto comprensibile ad un livello emotivo e fisico. Per esempio Audemars Piguet ha un atelier dove possono essere restaurati tutti gli orologi che abbiamo prodotto nella storia del marchio. In questo mondo, in cui gli oggetti hanno un valore molto limitato nel tempo e tutto appare instabile, Audemars Piguet realizza oggetti che possono essere compresi con una personale connessione, perché noi siamo artigiani. Gli orologi sono entità che parlano più al cuore che al cervello. Ma in futuro non prenderemo scorciatoie, né rimpiazzeremo le persone con le macchine. Riteniamo che sia fondamentale che i clienti di Audemars Piguet capiscano da dove deriva il prodotto che acquistano. Questa è la ragione per cui oggi ci stiamo muovendo direttamente sui mercati con l’apertura di nuove boutique monomarca e delle A.P. Houses.
La A.P. House di Hong Kong inaugurata nel 2018.
The Ducker: Credo che la condivisione dei valori e della storia dell’alta orologeria sia davvero al chiave per la comprensione del segnatempo. L’orologio va percepito non solo come un prodotto. Racconta invece tutte le persone che sono coinvolte nella sua creazione. Ne sono un esempio calzante questi tre giorni in cui abbiamo condiviso insieme, assaporando l’armonia tra arte contemporanea ed orologeria.
Olivier Audemars: In questi tempi di cambiamenti, dove le nuove tecnologie sono ovunque e le persone comunicano raramente vis à vis, è sempre più importante costruire una relazione umana tra le persone. Nel nostro caso per esempio favoriamo la relazione tra maestri orologiai e clienti: è così emozionante riconoscere l’orgoglio degli artigiani quando vedono gli occhi del pubblico brillare davanti al loro lavoro! Oggi stiamo ultimando la realizzazione dell’hotel accanto alla nostra Manifattura a Les Brassus ed il nostro atelier museo. L’obbiettivo sarà portare il mondo nella Vallée de Joux affinché il pubblico possa comprendere la nostra storia e chi siamo.
Il nuovo museo Audemars Piguet, il “Musée Atelier”progettato dall’architetto danese Bjarke Ingels.
La Manifattura di Les Forges, Le Brassus, Vallée de Joux.
The Ducker: Tra i marchi dell’alta orologeria, Audemars Piguet ha sviluppato una solida relazione con l’arte contemporanea. Quali sono i valori che la vostra Manifattura condivide con l’arte?
Olivier Audemars: Sono valori che nascono dalla relazione tra artigiano ed artista. Nell’orologeria queste due attitudini sono sempre state strettamente connesse e quindi la dimensione del tempo è legata alla dimensione di valori come bellezza, perfezione e complessità di un oggetto per esprimere una maestria. La precisione e l’estetica delle più piccole componenti, rifinite e decorate, seppur interne al meccanismo, nel passato sono diventate un mezzo per elevarsi ad una dimensione più alta. Questa bellezza è rimasta importante anche con l’avvento dell’era del quarzo, quando la dimensione del tempo pareva essere diventata obsoleta.
L’opera Paysage di Dan Holdsworth ritrae la natura della Vallée de Joux.
The Ducker: Quali sono le opportunità che l’universo dell’arte può fornire alla Meccanica del Tempo?
Olivier Audemars: Il nostro legame con l’arte contemporanea ha avuto inizio nel 2012 con un progetto di commemorazione per l’anniversario del Royal Oak. Chiedemmo a molti artisti di visitare la Vallée de Joux. Tra essi c’era Dan Holdsworth che realizzò un’opera fotografica proprio sulla natura della nostra valle. Fummo scioccati dal risultato, perché le immagini ritraevano un luogo molto inospitale, diverso da come l’avevamo sempre percepito nei nostri ideali. Iniziammo quindi a chiederci come un posto così desolato e selvaggio fosse diventato la culla dell’orologeria complicata. Fu quella la base per riscoprire la nostra storia! Capimmo che gli artisti hanno la capacità di vedere cose chiare e differenti perché hanno degli occhi speciali. Era una grande opportunità per Audemars Piguet, un marchio con sede in una valle molto isolata, comprendere più profondamente il modo in cui tutto il mondo stava cambiando attraverso la visione dell’arte. E siccome sapevamo di non essere degli specialisti nell’universo artistico, abbiamo fondato una Art Commission che si avvale di eccezionali esperti.
L’opera di Theo Jansen, Strandbeest, 2014, Miami Beach
The Ducker: Come funziona il lavoro della Commissione artistica di Audemars Piguet?
Olivier Audemars: Ogni anno l’Art Commision invita un speciale curatore nella Vallée de Joux. Questi preseleziona circa cinque o sei artisti che sono invitati a trascorre il proprio tempo da noi in Svizzera e a lavorare su un proprio progetto. Al termine la Commissione ne seleziona uno. Cerchiamo sempre di non influenzare gli artisti, ma curiamo l’aspetto finanziario di progettazione. Se limitassimo la loro libertà espressiva non riusciremmo a restare sorpresi dal loro lavoro che deve invece mostrare qualcosa di diverso da quello che abbiamo già in nella mente. Cerchiamo di trovare artisti emergenti che siano in grado di giungere ad un risultato completo attraverso una vera e propria sfida. Non copriamo soltanto le risorse finanziarie, ma ci occupiamo anche di tutto ciò che è necessario per la realizzazione ed il concepimento della loro visione.
Fernando Mastrangelo, Strata Wall, 2019, ABHK
The Ducker: Audemars Piguet diventa proprietaria dell’opera d’arte realizzata dagli artisti?
Olivier Audemars: No, è uno dei principi chiave che abbiamo con la Art Commission. Diventando proprietari dell’opera d’arte si negherebbe alla stessa di evolvere, congelandola. L’artista invece mantiene la proprietà della sua opera che è libera di essere presentata altrove in musei o fondazioni, o venire trasformata. Audemars Piguet supporta comunque la sua presentazione in futuro. E’ come aiutare la nascita di un bambino, ma poi dargli la libertà di crescere e progredire nella vita.
Ryoji Ikeda, Parallax, 2017
The Ducker: Oltre a questi progetti, ogni anno Audemars Piguet è presente ad Art Basel…
Olivier Audemars: In questo caso invitiamo gli artisti a visitare la Vallée de Joux e Le Brassus e a produrre qualcosa di specifico per la fiera, ma attraverso un processo espressivo completamente libero. Capita anche dopo qualche anno di incrociare nuovamente il percorso di un artista con cui abbiamo lavorato tempo prima. Come è accaduto con Davide Quayola.
Ryoji Ikeda – data-verse 1, 2019 – Biennale d’arte di Venezia 2019.
The Ducker: Alla 58° Biennale d’arte di Venezia Audemars Piguet ha presentato invece il progetto di Ryoji Ikeda. Compositore elettronico e visual artist.
Olivier Audemars: Abbiamo scoperto i mezzi espressivi di Ryoji Ikeda nel passato: lavori strettamente connessi alla variabili come precisione, complessità, luce. La nostra collaborazione con Ikeda è nata prima della chiamata di Ralph Rugoff (Curatore della 58a Biennale d’Arte 2019) ad esporre nel circuito Biennale la prima opera della trilogia Data-Verse, realizzata proprio con il supporto di Audemars Piguet. La partnership con l’artista continuerà in altri due appuntamenti dove saranno presentate la seconda e la terza variazione di questo progetto: il prossimo ottobre/novembre 2019 a Tokyo e nel 2020 in una location ancora da definire.
Oggi Audemars Piguet sta cambiando il modo di presentare il proprio marchio al mondo e contemporaneamente il modo in cui anche il brand percepisce se stesso. Desideriamo quindi avere il maggior numero di possibilità per questo nostro coinvolgimento nel mondo dell’arte contemporanea. La commissione artistica è uno dei link, ma siamo anche partner del Montreux Jazz Festival, che permetterà connessioni tra arte e musica. Ikeda è un artista che vive la sua espressività proprio a cavallo di questi due mondi. Insieme abbiamo avuto delle interessantissime discussioni sull’origine dell’universo e le sue evoluzioni. Penso che ci saranno molte correlazioni attorno a queste attività, pur mantenendo una linea guida non troppo rigida per evitare di perdere la possibilità di imparare qualcosa dal processo artistico. L’artista deve essere libero e non diventare un ambassador della marca!
Ryoji Ikeda, data-verse 1, 2019
The Ducker: Ieri in visita alla Biennale d’Arte abbiamo visto la proiezione video di Ryoji Ikeda. Un’opera viva, un oceano di dati acustici e visivi con un cuore pulsante di luci e suoni. Utilizzando dati forniti dal CERN e dalla NASA l’artista ha sviluppato composizioni matematiche per rielaborare questi dati in “versi” digitali indagando entità come lo spazio e l’universo. Per esprimere tutta la sua essenza l’opera d’arte ha necessariamente bisogno di uno spettatore, un fruitore che si lasci condurre nella sua esperienza. Ed ogni sensazione, positiva o negativa, è sempre ben accetta… Allo stesso modo nell’orologeria è fondamentale la relazione che si instaura tra il segnatempo e la persona che lo indossa. Quali sono state le sue emozioni di fronte a “data-verse 1” di Ikeda?
Olivier Audemars: Sono da sempre molto interessato alla fisica e alla matematica. La prima volta che ho visto “data-verse 1” ho subito cercato di capire le immagini da un punto di vista della fisica quantistica. Desideravo comprendere i numeri ed i loro significati. Alla quarta esperienza di fronte all’opera ho lasciato la mia mente ed il mio corpo liberi di vivere le percezioni in quel momento. Ovviamente Ryoji Ikeda sta indagando qualcosa di estremamente complicato, utilizzando nozioni di fisica, cosmologia e matematica. E la variabile del tempo risulta quindi essenziale.
The Ducker: E’ stata sicuramente una esperienza che induce riflessioni, domande e rompe gli schemi precostituiti nella mente.
Olivier Audemars: Ci vuole tempo per metabolizzare l’arte e spero che il maggior numero di persone della nostra Manifattura possa vedere quest’opera perché di conseguenza potrebbero modificare il loro modo di pensare ed operare. L’arte è una opportunità per aprire la parte sinistra del cervello quando sei abituato ad utilizzare solo la destra. Ma è necessario prendersi il giusto tempo!
Audemars Piguet – Il nuovo orologio Code 11.59
The Ducker: Parlando di sfide, al SIHH 2019 avete presentato il nuovo orologio Code 11.59 che sulle prime battute ha creato un po’ di scompiglio per un design totalmente diverso rispetto a quello del Royal Oak a cui il pubblico era abituato. Quale percezione ha avuto il pubblico mondiale in questi ultimi mesi di fronte al nuovo Code 11.59 di Audemars Piguet?
Olivier Audemars: Nel 1972 quando abbiamo lanciato sui mercati il Royal Oak la sua identità è diventata così forte da far dimenticare la forma degli orologi tradizionali. Nel 2019 volevamo costruire un nuovo pilastro che parlasse alle nuove generazioni. La sfida era realizzare qualcosa legato alla nostra tradizione, ma che potesse attrarre anche i giovani. E con il nuovo orologio Code 11.59 tutto ciò sta funzionando!
Alcuni anni fa abbiamo indagato sull’impatto che gli smart watch avevano sul pubblico giovane. Dalle nostre ricerche ed analisi, effettuate nelle scuole, è emerso che per le nuove generazioni è importante, molto più che per noi, avere elementi di stabilità nella vita. In più negli ultimi dieci anni la media di età della nostra clientela è scesa. Quindi con l’orologio Code 11.59 siamo in grado di comunicare al pubblico più giovane e di attrarre coloro che non amavano le forme ed il design del Royal Oak. Ovviamente occorrerà attendere per capire se il suo successo sarà anche continuativo nel futuro. Quando lanciammo il Royal Oak, quell’orologio impiegò circa 4 anni per essere capito. E una delle persone che ci aiutò a divulgare la sua comprensione fu Gianni Agnelli che lo indossava al polso sopra la camicia. Una dimostrazione di quanto l’Italia sia sempre all’avanguardia.
The Ducker: Il prossimo anno Audemars Piguet non parteciperà al SIHH. Può spiegarci i motivi di questa vostra scelta?
Olivier Audemars: La scelta deriva dai mutamenti e dalle evoluzioni di cui abbiamo parlato all’inizio. Sono davvero grato alla opportunità che ci è stata data in questi anni dal Salone dell’Alta Orologeria di Ginevra. Oggi ci stiamo muovendo verso un approccio molto più diretto con il pubblico. Attualmente le grandi fiere sono più per il mercato be to be , un luogo dove i brand possono incontrare gli agenti o i retailers, mentre il nostro obbiettivo oggi è il mantenimento di una relazione.
Spero davvero è che il SIHH possa continuare a esistere nel futuro perché tanti marchi non hanno la possibilità di andare direttamente sul mercato da soli, ma hanno bisogno di un luogo come la fiera, dove possono incontrare i concessionari e i retailers. Senza un organismo fieristico quindi non sarebbero in grado di avere accesso al mercato e non potrebbero sopravvivere. Tutto ciò è fondamentale per l’industria dell’orologeria svizzera, un settore in cui esistono nuovi brand emergenti, fucina di creatività. Anche se la nostra decisione è stata quella di uscire dal SIHH, consapevoli che senza la nostra partecipazione in questi anni non saremmo riusciti a raggiungere i risultati che abbiamo ottenuto oggi, spero che il SIHH possa continuare la sua strada verso il futuro!
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